00 07/06/2007 15:27
Intervista di Ondarock

Klimt 1918
Con le lacrime agli occhi
intervista di Mauro Roma

Nati dalle ceneri di oscure esperienze estreme al confine tra doom, death (metal) e gothic, lanciati da una delle etichette più preziose del nostro paese, la My Kingdom Music, consacrati dal passaggio alla cult-label tedesca Prophecy, i romani Klimt 1918 hanno intrapreso un percorso tra i più originali e stimolanti del rock italiano. Un esordio ("Undressed Momento", 2003) folgorante e emozionante, un secondo album ("Dopoguerra", 2005) di rara compattezza e intensità; sonorità ibride, post-moderne e coinvolgenti più un'attitudine schietta e insofferente verso qualunque categorizzazione fanno dei Klimt 1918 gli autentici outsider della musica indipendente, italiana e non solo: e la loro musica, così fresca e vivace, ricca di immagini, contrasti e suggestioni, fa di loro forse la band italiana da seguire con più attenzione in assoluto.
Un nuvoloso pomeriggio in Piazza del Popolo è lo sfondo ideale per una interessante chiacchierata con il frontman Marco Soellner che riguardo la genesi della sua band ci racconta: "Siamo partiti verso la metà degli anni Novanta come Another Day, ispirandoci al doom-metal inglese più d'avanguardia, in particolare i primi Anathema, e alla scena death-metal svedese. Quando, dopo aver inciso due demo e un Ep, gli Another Day si separarono io e mio fratello Paolo (batterista, ndr) formammo i Klimt 1918 con l'obiettivo di distanziarci da quelle sonorità e legarci più alla forma canzone, spostandoci verso un discorso più estroso e accessibile legato alle influnze wave che stavano prendendo sempre più il sopravvento".

A questo proposito, mi hanno molto piacevolmente sorpreso le marcate influenze U2 nel vostro ultimo, intenso album "Dopoguerra". Come sono entrati questi suoni nella musica dei Klimt 1918?
Gli U2 sono il classico amore giovanile, una di quelle band che in un modo o nell'altro non puoi non ascoltare e recepire. Già nel nostro primo album "Undressed Momento" cercammo sonorità chitarristiche in stile U2, ma in "Dopoguerra" il tutto è stato più voluto e progettato.

Vi sentite vicini anche agli "shoegazer"?
Ecco, il movimento shoegaze per noi è invece il presente, perchè è qualcosa che abbiamo scoperto solo da qualche anno a questa parte. Durante le registrazioni di "Dopoguerra" abbiamo recepito questo genere che ci ha immediatamente catturato. Slowdive, Catherine Wheel, My Bloody Valentine, tutta una scuola inglese che ha tirato fuori una serie di dischi straordinari e che ci sta influenzando enormemente soprattutto per quanto stiamo creando per il nostro prossimo album.

L'umore nostalgico è ciò che più caratterizza le canzoni dei Klimt, evidente non solo nei testi ma anche nei minimi dettagli musicali. Cosa ti ispira simili sentimenti?
Mi piace il fatto che la nostra musica abbia un filo conduttore sentimentale, rappresentato dalla nostalgia. Un sentimento che mi affascina molto e che ho recepito da certa dark-wave e da Robert Smith in particolare; le sue erano canzoni splendide, al tempo stesso malinconiche e terribilmente felici. Questa sensazione di piangere ridendo, o viceversa ridere con le lacrime agli occhi, mi ha sempre affascinato e ispira molto una delle suggestioni che sta dietro alla nostra band, il tema della giovinezza, della caducità.

Possiamo dunque parlare di quelle dei Klimt 1918 come di canzoni "positive"?
Assolutamente sì. La nostra è una musica tanto malinconica quanto speranzosa. Lo stesso titolo "Dopoguerra" sta alla base di questo discorso. Volevamo creare un disco di "reazione", musica per le macerie, musica per ciò che viene dopo qualcosa che ci ha ferito profondamente. Musica positiva, per quanto sofferta, ma in fondo trascinata da un mood vitale e semplice. Detesto la drammaticità forzata. Con "Dopoguerra" volevamo celebrare non la sofferenza ma ciò che viene immediatamente dopo, la convalescenza: qualcosa che è quanto di più trasversale e universale ci possa essere.

"Undressed Momento" fu un esordio osannato dalla critica e in effetti è un disco ricco di canzoni di grande bellezza: che cosa ne pensi oggi quando ti capita di ri-ascoltarlo?
Il primo disco è sempre il più derivativo, quello in cui metti dentro tutta la tua vita e la tua formazione musicale. Anche per questo "Undressed Momento" è un album molto più vario di "Dopoguerra", meno compatto certo, ma con molte più idee. L'album d'esordio contiene le radici della tua essenza di musicista. Il secondo invece è più mirato, nel senso che cominci a capire più precisamente dove vuoi andare e cosa vuoi ottenere. Penso sempre che "Undressed Momento" abbia ottime canzoni, ma in "Dopoguerra" molti dei suoni del primo album sono scomparsi, la resa e la scrittura sono più essenziali, è un album più equilibrato.

Ascoltare un vostro disco è come sfogliare un album fotografico, una cascata di immagini di memorie e sensazioni. Mi sembra che la vostra musica sia molto influenzata dalle arti visive.
Assolutamente vero, io sono un consumatore istancabile di fotografia e di cinema. "Dopoguerra", ad esempio, è stato molto ispirato dal neorealismo, da Rossellini, De Sica. Il mio rapporto con l'immagine è profondo e questo si ripercuote anche nella musica: adoro le band che fanno musica "cinematica" come GYBE, Mono, Mogwai, Sigur Ròs. Adoro la musica che lascia spazio totale all'immaginazione, per questo mi sono molto avvicinato al post-rock e sto anche pensando di creare un mio progetto rivolto in questa direzione. Trovo che questi generi siano anche molto congeniali alla musica dei Klimt, ma per noi non è facile muoverci in questo senso, dato che la nostra è una band che vuole restare molto diretta e legata alla forma-canzone. Insomma, siamo pur sempre una band rock 'n roll, e fieri di esserlo. Ti faccio però l'esempio dei Dredg, un gruppo americano che ci sta influenzando moltissimo per come riesce a unire in maniera molto interessante post-rock e forma canzone; con il nostro prossimo album vorremmo provare a muoverci verso una ricerca sonora di questo tipo.

Klimt 1918, una band sfuggente e di difficile catalogazione: non siete metal, non siete wave, non siete indie eppure siete tutte queste cose insieme. Sei d'accordo se dico che in qualunque "scena" vi facciano rientrare, nella vostra musica c'è sempre qualcosa che alla fine vi rende "fuori posto"?
Esatto, e devo dire che questo non è propriamente un bene, in termini di visibilità. Io ho avuto esperienze fondamentali tanto nella scena estrema quanto in quella dark e in entrambe ho notato una chiusura mentale fortissima, cosa che non pensavo di trovare nel mondo cosiddetto indie; e invece è addirittura peggio! Forse nessun altra scena è così autoreferenziale e così incapace di aprirsi e fare un discorso al di là dei generi.

Roma negli ultimi anni ha visto affermarsi moltissime band che nei rispettivi generi non hanno nulla da invidiare ai più blasonati gruppi stranieri. Penso a voi, Novembre, Spiritual Front, Dope Stars Inc.: gruppi con i quali avete anche rapporti stretti. Cosa pensi della scena cittadina?
Innanzitutto non parlerei di una vera e propria scena romana, e nemmeno italiana. Parlare di scena significa parlare di qualcosa che qua in Italia non si è mai riusciti a portare avanti, significa avere gruppi con obiettivi comuni e avere la consapevolezza di portarli avanti insieme, partecipando a vicenda nei rispettivi dischi. Come succede in Canada con i gruppi della Constellation o, per il metal, come succedeva in Svezia negli anni Novanta. Con i gruppi che hai citato abbiamo una solida amicizia personale e magari anche un background comune, ma tutti noi siamo poi cresciuti sviluppando percorsi radicalmente diversi. Non parlerei dunque di una "scena", ma semplicemente di ottimi rapporti che sono comunque molto importanti.

Come voi, molte delle più valide e originali band della scena alternativa italiana per avere la visibilità che meritano sono emigrate presso etichette straniere, solitamente tedesche: pensando a dischi come il vostro "Dopoguerra" o "Armageddon Gigolo" degli Spiritual Front, lavori che potrebbero anche raggiungere un pubblico ampissimo ti chiedo perchè, secondo te, certa musica in Italia non trova l'attenzione che merita?
Non è detto che sia necessario andare con etichette straniere. In Italia le potenzialità ci sarebbero pure, ma credo sia soprattutto un discorso di attitudine: da noi c'è un diffuso ostracismo verso ciò che proviene dagli ambienti estremi, e in generale la musica italiana è molto accademica: c'è un'idiosincrasia per tutto ciò che è rock. In Germania c'è una vera cultura dell'underground, la gente compra i dischi, va ai concerti, è più attenta al lato musicale. Il problema vero è che in Italia chi dovrebbe diffondere queste realtà spesso si dimostra invece completamente cieco nei loro confronti. Mentre molti gruppi senza arte né parte, specialmente di area indie vengono regolarmente citati su riviste e giornali "mainstream". Per quanto ci riguarda noi avevamo già un piccolo seguito dopo "Undressed Momento" grazie alle ottime recensioni che abbiamo avuto. Con "Dopoguerra" siamo stati anche tra i dischi del mese su "Rumore". Eppure continuiamo a suonare, e a venire distribuiti, ascoltati, promossi in ambiti che hanno fare solo con il "dark" o con il metal. Questo è dovuto anche al fatto che la nostra attuale etichetta ha molta presa in questi ambiti.

Ma con le tue radici estreme che rapporto hai oggi? Ascolti ancora metal?
Il metal... se non fosse così metal non sarebbe male (risate..). Seriamente, credo che il problema del metal è che ha troppa consapevolezza di sé. Secondo me si può essere violenti senza risultare nemmeno lontanamente "metal"; ad esempio uno dei miei gruppi preferiti sono tuttora i Deftones e un grandissimo album come il loro "White Pony" che ha delle chitarre immense e squarci melodici straordinari, non potrà mai essere definito metal come viene comunemente inteso il termine, al di là delle sonorità, ovvero come religione dell'appartenenza, come rituale di comportamenti, come volontà di essere slegati da tutto il resto, e fieri di esserlo. Oggi penso che non ci sia niente di bello in questo atteggiamento. Discorso che vale anche per altri ambiti "estremi", o per il gothic. Io oggi ascolto di tutto, non mi precludo niente, dunque sì ascolto ancora metal, di solito quando voglio momenti di "amarcord" che mi suscitino sentimenti di malinconia e nostalgia.

In conclusione, cosa ci dobbiamo aspettare dai Klimt nel prossimo futuro?
Il prossimo album sta lentamente prendendo forma. Registreremo in un periodo compreso tra maggio e settembre e speriamo di pubblicarlo entro la fine del 2007. Il nostro obiettivo principale è giungere a un sound che sia finalmente tutto nostro: "Dopoguerra" è stato un album molto personale dal punto di vista del songwriting, ma non ancora dal punto di vista delle sonorità. E' la solita politica del terzo disco, è un passaggio cruciale in cui devi dimostrare chi sei davvero. Senza rinnegare certo il nostro passato, ma abbiamo la necessità di non suonare più come prima, sviluppando il nostro filo conduttore tematico, la nostalgia, attraverso un discorso sonoro diverso. Non sarà facile. Noi ci siamo resi conto che non avremo mai una collocazione specifica e vogliamo mantenere questa linea: non schierarci mai da nessuna parte. Cosa che, ammetto, diventa sempre più difficile: se vieni dal metal ed elimini le spigolature più estreme, comincia a risultare più complesso non essere soltanto indie o wave o altro. Ci piace l'idea di essere un gruppo rock, attenerci a delle regole ben precise, e all'interno di questi paletti sviluppare la nostra creatività.